Valentin Tszin: “Esiste un solo “fil rouge” nella mia Arte. L’Amore”.

Credits Ulrich Heemann

Intervista a cura di Cristina Baù
[English version below]

Raccontare Valentin Tszin non è facile, sarebbe meglio vederlo in azione in una sua performance o partecipando a uno dei workshop che spesso organizza in Germania, coinvolgendo i suoi studenti in un processo di creazione collettiva. Possiamo definirlo innanzitutto un “ricercatore” dell’espressione corporea e della danza.

Il suo metodo infatti, denominato 4/4 4/3 4/0, attinge a più forme, come i principi fondamentali del teatro drammatico, della danza Butoh, del taekwondo e del “throat singing”, ovvero al canto armonico.

Lavora su una gamma contrastante di aspetti e messe in scena, da assoli ascetici a intricati concetti di gruppo, spingendo i confini del proprio corpo e della mente a creare un dialogo interdisciplinare che diventa a sua volta la strada da perseguire, il suo modo di creare arte e interagire con gli altri in scala più ampia. Ha inoltre ideato una performance per inaugurare un edificio progettato da Zaha Hadid, intrapreso una carriera cinematografica che dura da oltre un decennio, e continua la sua ricerca crossover che va dall’arte contemporanea al teatro e ai nuovi media, collaborando con musicisti internazionali nel campo della musica techno.

Credits Evelyn Bencicova

C – Ciao Valentin, il nostro pubblico non sa molto di te. Alcuni ti conoscono come interprete di danza Butoh. Puoi parlarci del tuo percorso artistico e di come sei approdato a questo linguaggio espressivo corporeo? In che modo hai portato avanti i tuoi studi e la tua ricerca, fondendo teatro classico giapponese e tecniche di danza più contemporanee?

V- Non ho singole parole per definirmi. Ma di base sono un attore, un attore di teatro e di cinema, ma da circa 12 anni ho accettato il ricercatore che è in me e sono diventato anche regista e direttore di eventi. E i miei orizzonti si sono allargati sempre di più, dalla Butoh all’arte generativa e digitale. Ma comunque c’è una parola che mi identifica alla perfezione: sono un virus (mentalmente e artisticamente). Amo esplorare nuovi territori per trasformarli in qualcosa di nuovo. Scelgo quali tecniche usare in base al contesto specifico. Ad esempio, sono sempre stato affascinato dalle strutture parametriche in architettura e mi hanno anche chiesto di realizzare una performance per l’inaugurazione di una nuova costruzione disegnata da Zaha Hadid, una delle mie “preferite”. E sono passato dall’essere non solo registra, ballerino e coreografo, ma anche produttore, curatore… Quindi i miei campi d’azioni sono liquidi, talvolta molto lontani dalla danza.

C – Sei di origine russa ma fai base a Berlino, città europea di riferimento per molti artisti che si occupano non solo di danza ma anche di musica, soprattutto quella elettronica e in particolare techno. Quali riferimenti musicali hai quando costruisci una tua performance, e cosa ti affascina e incuriosisce particolarmente negli ultimi tempi?

V – Esatto, sono di origini russe, mia madre è russa e mio padre cinese. Ma non vivo più lì da circa 12 anni, da quando ho iniziato a viaggiare per lavoro attraverso diversi continenti. Quando sono arrivato a Berlino per la prima volta, 10 anni fa, ho subito pensato che potesse essere la città in cui stabilirmi. Ci sono andato diverse volte per lavoro, ma mi ci sono trasferito definitivamente 5 anni e mezzo fa. La cosa interessante è che la cultura techno mi ha sempre affascinato, ma l’incontro con essa non è avvenuto a Berlino, bensì lavorando con Daniel Williams, un musicista elettronico che per primo ha portato la techno nel mondo della Butoh alla fine degli anni ’90. Più tardi ho scoperto quanto speciale fosse quella cultura lavorando con diversi artisti tra cui Dasha Rush, Prequel Tapes, X Tin, Stanislav Glazov, Peter Kirn e molti altri. O trovato molte cose in comune tra Techno e Butoh. Per prima cosa entrambe queste culture richiedono una percezione dissociata della realtà, ma personalmente rappresentano la piena realizzazione del “Rizoma”, un concetto filosofico elaborato da uno dei miei pensatori postmoderni preferiti, Gilles Deleuze.

C – Quali sono gli artisti che ti hanno ispirato maggiormente lungo il tuo percorso professionale?

V – Pier Paolo Pasolini, Zaha Hadid e Ko Murobushi.

C – Se dovessimo misurare le tue performance in percentuali, quanto c’è di preparazione/studio, di corpo e di anima, e come le 3 componenti sono connesse tra loro?

V – E’ una domanda molto complicata. Direi che ci sono tre fasi nel mio lavoro.
Per prima cosa il “sogno”. In questo momento il 90% è anima, il 10% corpo. Ho infatti bisogno anche del mio corpo nei sogni per poter tornare sulla Terra. E niente studio o preparazione in quanto sogno proprio per poi poter studiare qualcosa di nuovo.
La seconda fase è “elaborazione”. 90% di studio e 10% di anima, che mi aiuta a navigare attraverso le nuove fasi di studio ricollegandosi ai miei sogni, prima del terzo e ultimo momento, ovvero la “realizzazione”, 100% corpo. L’azzeramento del mio corpo che diventa un mezzo per portare le persone su altri mondi. In quel momento è come se non esistessi. Forse nei prossimi giorni incontrerò la mia anima aggiornata ed esplorerò nuove tecniche.

Credits Morvarid K

C – Noi di Performing The Club crediamo che ci sia una profonda connessione tra arte performativa e club culture, ma che questa non si sia ancora sviluppata del tutto per ragioni riconducibili a probabili pregiudizi culturali, specialmente in Italia. Cosa pensi di questa connessione e quali esperienze hai avuto in questo ambito?

V – Ho fatto qualche lavoro in Italia, quasi tutti in collaborazione con musicisti techno: Catania, Roma, Milano… E ho anche molti amici italiani che vivono a Berlino e che sono legati al mondo della Techno (artisti, booker, promoter…). Purtroppo penso che il movimento techno sia ormai molto debole in Italia e che la scena sia piuttosto limitata. E’ molto triste ripensando a quante rivoluzioni musicali sono arrivate proprio dall’Italia. Ma d’altro canto la Techno è una subcultura che deve stare nascosta rispetto alla scena cultura ufficiale, proprio per poter emergere. E non parlo di Techno come genere musicale o specifica sotto-cultura come in passato. Adesso è il momento di diffondere la cultura techno attraverso nuovi mezzi e forme. La lingua italiana, la mentalità, il vostro bagaglio culturale sono le basi per trovare nuove strade.
Performing The Club può essere una piattaforma infinita per creare incroci imprevedibili tra club culture, performance live, cinema, realtà virtuale, arti figurative e chi più ne ha più ne metta. Pensando alla performance art nel contesto del club, ci sono così tanti “format” e cornici all’interno delle quale muoversi: situazionismo, flashmob, performance art, teatro, situazioni immersive e quant’altro. “Per forma”, in italiano, significa “attraverso la forma”, giusto? Quindi, di base, state ridefinendo il formato del club attraverso l’integrazione della mentalità e della cultura Techno. Per me è molto affascinante immaginare cosa possa accadere.

C – Cosa vuoi dire ai ragazzi che oggi, in un difficile periodo segnato dal Covid e dalle conseguenti restrizioni, hanno deciso di intraprendere un percorso formativo nell’ambito di queste espressioni artistiche, e cosa consiglieresti loro per aiutarli a trovare mezzi e opportunità per esprimersi di fronte a un pubblico?

V – 1 – Sognare
2 – Leggere libri
3 – Imparare nuove tecniche
E mangiare cibo sano.
Per quanto riguarda le “forme d’espressione”: chiudete gli occhi, cercate di sentire il vostro fanciullo interiore e il resto verrà da sé: l’idea, il modo di realizzare e le tecniche che ancora mancano.

C – Gli artisti spesso utilizzano la “tecnologia” come supporto e strumento per sviluppare le proprie opere e performance. La parola stessa deriva dal greco “techne” (arte intesa come saper fare) e “logos” (parola, discorso).  Pensi sia uno strumento importante per esprimere al meglio la propria visione, i propri sogni e la propria arte?

Credits Evelyn Bencicova

V – Amo l’interpretazione di Heidegger del mito di Promoteo. Forse non ricordo tutti i dettagli ma cerco di spiegarne l’essenza: quando gli Dei hanno creato il mondo, Zeus e gli altri si sono incontrati per una grande festa e hanno portato due ceste: in una c’erano tutte le creature, nell’altra le qualità. Quindi pescavano una creatura e le assegnavano una qualità. Così il leone era diventato il re della foresta e così via. Ma gli Dei forse avevano fatto troppa festa, quindi si accorsero che arrivati all’uomo non erano più rimaste qualità. Quindi Prometeo, per risolvere la situazione, rubò il fuoco a Hermes per darlo all’uomo. Il fuoco era il simbolo della tecnologia e dell’inventiva. E da quel giorno gli uomini inventarono e reinventarono di continuo quello che per loro era il significato della vita, mosso dalla “Angst”, la paura e l’ansia per una vita senza significato. Per me l’arte è l’unica forma di esistenza che ci permette di inventare nuovi mondi.

C – Esiste un filo conduttore o un tema ricorrente nelle tue performance? C’è qualcosa di particolare che cerchi di comunicare che sia a livello di contenuti o di stile?

V – Per me esiste un solo “fil rouge” nella mia Arte. L’Amore.

C – Infine, a cosa stai lavorando attualmente? C’è qualche progetto che verrà presentato o pensi che potrà essere presentato all’interno di un contesto “club”?

V – Si certo, stiamo lavorando a una tecnologia che permetta ad artisti distribuiti ai quattro angoli del pianeta di lavorare insieme in remoto. E poiché ultimamente mi dedico molto a forme di arte generativa, la mia idea è quella di creare situazioni in cui ci siano almeno due club che interagiscano per creare il contenuto. Un performer in un club, un musicista in un altro, un visual artist in un altro ancora, ad esempio. Ovviamente la maggior parte del pubblico sarebbe online, ma la parte di pubblico offline potrebbe vivere ancora di più la magia.

https://www.youtube.com/watch?v=Mdk9J3GzbEk&fbclid=IwAR0kFh0Qy6V2VR-SQcShJk28ss24aLHS1p1bg4pnBi9g48AJ4gCqJ8FiUkc

English version

Interview by Cristina Baù

To talk about Valentin Tszin is not easy. It would be better to see him in action during one of his performances or to participate to one of the workshops he organizes in Germany, involving his students in a process of collective creation. We can mainly define him a researcher of body expression and dance.
His method, named 4/4 4/3 4/0, draws from different fields, like the fundamental principles of drama theatre, Butoh dance, taekwando and “throat singing”, harmonic singing.

He works on a contrasting range of aspects and mise-en-scenes, from ascetic solos, to very complicated group concepts, pushing the boundaries of his body and mind to create a interdisciplinary dialogue which become itself the path to follow, his own way to create art and to interact on a wider level. He also created a performance for the opening of a building designed by Zaha Hadid, had a cinema career from over a decade and he’s continuing his own crossover research ranging from contemporary art to theatre to new media, collaboration with international artists from the Techno scene.

C – Hello Valentin, our audience doesn’t know so much about you. Someone knows you as Butoh dance performer. Can you tell us about your artistic path and how you arrived to this special expressive body language? How did you conducted your studies and researches, blending together classical Japanese theater with contemporary dance techniques?

V- I have neither can identify myself in single words. But basically I am an actor, theater and film actor, but since 12 years I ́ve accepted a researcher inside of me, also director, event creator. And my horizon is getting wider and wider, from Butoh to generative and digital art. But still maybe there is one word to identify myself: I am a virus (my mental and artistic state). I love to enter the new territories in oder to transform them into something else. But which techniques I will use, it all depends on specific situation. For example I was always fascinated by parametrics in architecture and once was proposed to make a performance for my favorite Zaha Hadid, for the opening of her new building. And became not only director and dancer and choreographer, but also producer and curator etc. So my fields are liquid. Sometimes very far from the dance.

C – You are Russian by origin, but you are based in Berlin, a city which is a point of reference for many artists dealing not only with dance but also with music, and undisputed homeland of Techno. Which musical references do you have when creating your own performances and which ones recently fascinate you the most?

V – Yes, that’s very correct. I am Russian by origin, my Mama is Russian and my Papa is Chinese. But I haven’t been living there constantly since about 12 years. I was travelling and doing my works on different continents. But I felt that city (Berlin) is definitely only the one I could imagine myself to live in, from the first time, about 10 years ago. And continued my works here regularly. But moved here only 5,5 years ago. The interesting fact is Techno culture fascinated me for the first time not in Berlin, but while working with Daniel Williams, electronic musician who first brought techno music to Butoh. In the late 90s, early 00s. And later I discovered how special that culture is through working with different artists like Dasha Rush, Prequel Tapes, X Tin, Stanislav Glazov, Peter Kirn and many others. I found a lot of similar and reflectable things between those two cultures: Techno and Butoh. First of all they both asking the dissociative perception of the realities, but for me personally it is the full realization of “Rhizome”, a philosophical concept by one of my most favorite postmodernist philosophers, Gilles Deleuze.

C – What are the artists who have inspired you the most over your career?

V – Pier Paolo Pasolini, Zaha Hadid e Ko Murobushi.

C – If we were to measure your performances in percentages, how much preparation/study, body and soul would be there and how these three elements connects each other?

V – That’s a very very tricky question. I would say it’s different in the 3 chapters of my work.
1st is “dreaming”: here 90% goes to soul and 10% to the body. As I need a little bit of body for my dreams just to come back on the Earth. And nothing about the study as I am dreaming in order to study something else.
2nd is “elaboration”: 90% of studies and 10% of soul which keeps me navigating through the new studies, reminding my dreams before the final moment.
3rd is “realization”, 100% body. Literally zerofication of my body as it becomes a provider
to bring people to another world. I don ́t exist at that moment. Maybe next days I will meet my updated Soul and look at new techniques.

C – At Performing The Club we believe that there is a deep link between performance art and club culture, but this isn’t fully developed and exploited yet, maybe because of cultural biases, especially in Italy. What do you think about this link and do you have any experience in this field?

V – I have done bunch of works in Italy and almost all of them were made in cooperation with techno musicians. In Catania, Roma, Milan etc. Also I have so many italian friends in Berlin who ́re related to techno culture (artists, bookers, promoters). But sadly techno culture is in a very weak situation in Italy, that ́s why that scene is so small there. That’s very sad as looking back we see how much musical revolutions came from Italy. But on the other hand Techno is subculture and it has to stay under the “official” cultural scene to arise itself into the new. I mean not techno as musical genre phenomenon and specific subculture, as it ́s in the past. But now its the right time for diffusion of Techno with other forms and cultures. Italian language and mentality and mega fruitful cultural past has everything to invent new paths. So I would say Performing The Club is an infinite platform for very unpredictable crossings, club culture and real time acts, cinematography, VR, education, Fine Arts and many others. But in the context of performing art in the club there so many different formats where you are totally free to play with perceptual frames: situationism, flashmob, performing or performance art, theatrical or immersive frames etc etc etc. “per forma” from italian means “by shaping or by framing” is it correct? So, you re basically already re-framing the club format by integrating techno mentality and culture. It is for me very fascinating even imagining what could happen there.

C – What do you want to say to younger generations that today, in a difficult period marked by Covid19 and its consequent restrictions, decided to undertake a formative experience in the field of performance art? And what would you recommend to help them finding the most suitable ways to express themselves in front of an audience?

V – 1 – to dream
2 – to read books
3 – to learn new techniques
And to eat healthy food
About “ways to express”: to close eyes and wish the most unforgettable feeling what your inner child could ever experience and the rest will come: and idea, and way to realize it and missing techniques.

C – Artists often use “technology” as a support and tool to develop their projects and performances. The word itself comes from ancient Greek “techne” (art as “know how”), and “logos” (speech, word). Do you think it’s an important tool to better express own visions, dreams and art?

V – I love Heidegger ́s interpretation of Prometheus ́ myth. Don ́t remember all details but will try to explain the core: when Gods were inventing the World, Zeus and other Gods were having a party and there were two baskets. With the creatures in one and with the qualities in another one. So they took one creature and gave him a quality, for example Lion is a master of jungles etc. Gods probably partied too intense but at the end realized there is no quality left for the last creature, which is a human. So, Prometheus in order to save the situation ran to another party of Hermes and stole the fire and gave it to humans. Fire meant “technology/inventions”. And since that time, humans invented and re-invented their meaning of life, pushed by “Angst”, the total fear of a meaningless life. For me art is the only correct form of existence which gives us to invent the new world.

C – Is there a “fil rouge” or a recurring subject in your performances? Is there anything particular you’re trying to communicate in terms of both contents and style?

V – I have only one and one only central “fil rouge” in my Art. It is Love.

C – Finally, what are you currently working on? Do you have any future project that you want to or you think that could be presented within a “club” environment?

V – Yes, I do. We just elaborated some technology that allows artists which are split through different parts of the planet to create their work together in remote. And since I’m lately working a lot with generative forms of art, my next idea with my colleagues is to create situations where at least two different clubs generate the entire content with each other. Performer at one club, musician at another, visual artist at the third. Of course the biggest part of the audience in online but offline audiences can observe the most magical.

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