Mohawk “al contrario” verde fluo; sguardo penetrante circondato da trucco nero; piercing e tatuaggi; accento britannico alla Sid Vicious. Un punk raver nell’elettronica. E’ il volto iconico di Keith Flint, a ragione frontman e immagine dei Prodigy, un altro grande pezzo da novanta della storia della musica che se ne va trascinato forse da un male troppo grande per essere espresso e raccontato da chi non l’ha vissuto sulla propria pelle. E’ di appena quattro giorni fa la notizia del ritrovamento del suo corpo nella sua casa nell’Essex. Il mondo della musica elettronica ne piange la scomparsa da allora, con pagine e pagine dedicate all’artista e alla storia della sua band, il numero di articoli fioccati sulle riviste e sui blog non si conta.
Il motivo risiede nel fortissimo impatto che hanno avuto i Prodigy con i loro suoni sintetizzati e campionati, elettronici sul mondo più pop e mainstream, quello dei grandi palchi e di MTV, un impatto che era promotore della genuina cultura rave di quella generazione abbandonata. I ricordi nostalgici di chi li vide esplodere nel 1996 con “Firestarter” si mescolano all’ammirazione di chi oggi si avvicina alla musica elettronica e alla sua cultura, riconoscendone l’incredibile influenza non solo nella musica, ma anche nella definizione di un immaginario estremamente visivo e prolifico.
La cultura rave è una narrazione fatta da e per i raver, allo stesso modo la band atipica composta da un producer e due ballerini e non da chitarre e batteria, ritrova in questo semplice principio la propria genesi. Che poi sia uscita, straripata dai suoi argini per contagiare altre forme d’espressione, come ad esempio il cinema, lo si deve anche a figure incisive come quella di Keith Flint. Non è un caso che nella storia del videoclip, strumento principe di diffusione musicale e artistica negli anni ’90, si ricordi di “Smack My Bitch Up” diretto da Jonas Åkerlund, di cui abbiamo parlato in occasione del Seeyousound Festival. Non è nemmeno un caso che “Mindfields” sia entrata nella soundtrack di “Matrix” e che tutta la colonna sonora del film sia composta da quel mix di breakbeat, drum’n’bass e rock elettronico, un suono che i Prodigy hanno contribuito a formare da “Firestarter”, per l’appunto.
Anche la techno, senza ombra di dubbio, ha contribuito largamente a plasmare i luoghi di ascolto, le influenze sonore tipiche, i personaggi e le visioni che gravitano attorno al mondo dei Prodigy, nascono, se vogliamo, da una matrice comune; per questo motivo abbiamo deciso di omaggiare la memoria di Keith con quattro remix techno “e derivati” di alcune tracce dei Prodigy.
Paula Temple si cimenta nel 2015 con un remix di “Roadblox” uscito su R&S Records che rivista la traccia originale incalzandola con lo stile cupo e feroce tipico della DJ e Producer tedesca.
Segue, ma non cronologicamente, CJ Bolland che nel 1995 remixa uno degli inni rave per antonomasia: “No Good (Start The Dance)”. Il dj e remixer belga apporta alla traccia originale sonorità già hardcore ed acid. Vi proponiamo per l’ascolto questo filmato del 1995 in cui i Prodigy suonano questa versione ad Atene.
Continuiamo con lidi più trance con il remix di “Firestarter” del progetto Deliriant del sud africano Shane Renew
Chiudiamo sopra i 150 bpm, con un remix industrial e hardcore di ViperXXL del 2013 di Full Throttle