Prima che la proiezione cominci, Javi Senz ci tiene a dire qualche parola sul film che ha diretto e che stiamo per vedere: “Non aspettatevi una grande produzione alla Netflix: non ci saranno riprese strabilianti con i droni, ma il frutto del mio finanziamento”. Poi le luci si spengono e lo schermo si accende su Manchester. Un DJ di spalle e una console. Parla dell’importanza del “warm up” mentre sceglie i vinili che suonerà durante la serata. In sottofondo, una linea di basso incalzante e accordi che gridano “house” cominciano a scaldare anche noi, seduti sulle poltrone del Cinema Massimo. Occhi puntati sullo schermo, ma teste e spalle che si muovono a tempo.
“Manchester Keeps On Dancing” è un documentario incredibilmente dettagliato, elegante e completo dal punto di vista musicale; la prova che i grandi finanziamenti non sempre sono necessari, ma una passione fervente sì. E’ quella che guida l’occhio investigativo di Senz; quella che ha spinto il regista e DJ spagnolo ad una vera e propria indagine sull’ondata che da Chicago raggiunse il vecchio mondo portando con sé il suono “house” attraverso il mare, attraverso i vinili passati di mano in mano fino alle postazioni dei DJ. La struttura narrativa non prende le distanze da altri documentari che ugualmente hanno cercato di rintracciare le origini di un suono, ma in questo caso specifico non si tratta di stabilire dove, quando e perché nacque la musica house -che ebbe i suoi natali nelle città di Chicago e New York, come sappiamo- quanto più nel comprendere perché proprio Manchester, grigia e fredda città industriale, sia diventata un punto focale per il clubbing del Regno Unito e d’Europa. Manchester per l’acid house come Detroit per la techno, si potrebbe dire.
Dalla scena “pre-house” con i dischi northern soul ed electro funk passati principalmente per un pubblico nero alla fama internazionale di progetti odierni come Warehouse Project e HomoElectric, questa “inchiesta” sonora trova le sue chiavi di lettura nei racconti degli intervistati, testimonianze dirette, voce dei casi studio analizzati e sviscerati nel dettaglio per ricostruire le varie fasi attraversate dalla musica house nel sottobosco di locali e serate a Manchester tra gli anni ’80 e 2000. Che essi siano resident djs o dj di fama internazionale -tra cui citiamo Laurent Garnier, Marshall Jefferson, Seth Troxler e Carl Craig- ognuno di loro trova lo spazio necessario per raccontarsi e il tempo per esprimere concetti che, quanto più si ripresentano tra un’intervista e l’altra, da soggetto a soggetto, tanto più paiono genuini e utili alla ricostruzione di sentimenti e percezioni diffuse. A tal fine risulta fondamentale anche la colonna sonora, composta da classici del genere e novità di artisti contemporanei, che si accompagna ad un’animazione in sovrimpressione volta ad informare lo spettatore del nome della traccia e dell’artista: una gentilezza nei nostri riguardi che ci ha risparmiato di utilizzare Shazam almeno una decina di volte.
Nella stessa volontà di chiarezza, al posto di una carrellata di luoghi appena citati e date buttate in pasto allo spettatore -ricorrente in questo tipo di film documentaristico-, la “Scena Manchester” si dispiega ai nostri occhi e orecchie attraverso pochi ma ben selezionati club, primo fra tutti l’Hacienda, presente anche con esclusivi filmati degli anni ’80 girati dallo stesso Tony Wilson che ne fu il fondatore. Alla storia dell’Hacienda è dedicata buona parte del documentario poiché al nome del club è legata indissolubilmente la diffusione della musica house, grazie anche alla sua natura polivalente: sui suoi palchi si esibirono gli Smiths, i New Order -che rilasciavano la propria musica con l’etichetta indipendente legata all’Hacienda, la Factory Records- e fecero il loro debutto Laurent Garnier e i Chemical Brothers.
Oggi chiusa come molti altri club negli anni, non sembra affatto però che “Manchester Keeps On Dancing” viva di sentimenti nostalgici e pretenda che il passato fosse migliore del presente, anzi: l’occhio del regista indugia nelle scene di clubbing che vedremmo oggi: con delicatezza coglie le luci e le ombre dei club, i suoi abitanti, i volti, le mani sollevate e cosa più importante, i giovani DJ che portano avanti una tradizione musicale da un lato e “percettiva” dall’altro: oggi, all’Antwerp Club, si respira la stessa atmosfera che si poteva respirare all’Hacienda. Parola di chi ci è stato ed ha contribuito alla sua eredità leggendaria. Non resta che scoprire o riscoprire Manchester e questo documentario sembra un ottimo punto di partenza per farlo.