INTERVISTA A FRANCESCO D’ABBRACCIO Aka LOREM

A cura di Cristina Baù
[English version below]

Mentre le tecnologie digitali inglobano velocemente tutto ciò che ci circonda, rappresentando la “rivoluzione” del contemporaneo e il cambio di paradigma verso un futuro più efficiente e prestante, abbiamo sempre più bisogno di una tradizione filosofica che ci riporti con i piedi per terra, all’origine della nostra esistenza: la natura umana. Esaminando l’influenza che ha avuto la tecnologia nel campo delle performance, della musica e dell’arte in generale, essa è resa più umana, più poetica e afferrabile di quanto avremmo mai potuto immaginare, anche grazie al processo di sviluppo tecnologico stesso. 
Di quanto possa essere contraddittoria la relazione tra essere umano e macchine, e al tempo stesso, di come il mondo virtuale e quello reale si contaminino reciprocamente senza sosta, lo chiediamo a un esperto in ambito di arti visive, ospite dell’ottava edizione di Seeyousound: Francesco D’Abbraccio.

C – In quanto esseri umani, cosa possiamo imparare attraverso l’interazione con le macchine? Pensi che ci possano essere delle contraddizioni nelle relazioni tra uomo e macchina?

F – Penso che le relazioni che noi abbiamo con le macchine soffrono le stesse contraddizioni che ritroviamo nei contesti sociali in cui viviamo. Si trasferiscono volontariamente o meno all’interno delle tecnologie che impieghiamo. Gli esseri umani (e i dispositivi) che estraggono dati e progettano algoritmi svolgono i loro compiti con finalità precise (arbitrarie), che spesso non sono minimamente chiare all’utente finale. Allo stesso tempo, essi riproducono involontariamente bias culturali e cognitivi nei dataset e nei modelli che costruiscono. In molti oggi credono che non abbia senso interrogarsi intorno al nostro rapporto con le macchine senza prendere in considerazione l’intero ecosistema di forze che agiscono sui soggetti e sui dispositivi coinvolti.

Ultimamente, però, mi sorprendo a pensare che proprio questo limite intrinseco del mezzo sia l’aspetto che lo rende interessante dal mio punto di vista. Questa tendenza dell’AI a far emergere, nei propri output, pattern inconsapevoli, pregiudizi, correlazioni nascoste, diventa uno strumento creativo (e allo stesso tempo voyeuristico) che mi affascina molto . Quando alleno una rete sui disegni di Primitivo ho la sensazione di entrare un po’ nella sua testa, di smascherare i suoi gesti più automatici. O, ancora più evidente, quando alleno un’altra rete sui sogni di Mirek, posso scorgere nei dream report generati aspetti molto intimi, o almeno immaginare che gli errori della macchina siano modi di “interpolare” i suoi pensieri, di capire cosa potrebbe esserci negli interstizi tra un sogno e un altro.

3402 Selves Subs

C – Qual è la molla che ti ha fatto avvicinare all’intelligenza artificiale come mezzo di applicazione e ricerca nei tuoi lavori e perchè.

F – Uno dei temi che mi ha sempre interessato, e che è sempre stato centrale per la ricerca di Krisis Publishing, è quello della trasparenza dei media, e delle immagini in particolare. Le immagini hanno da sempre la capacità di nascondere la loro natura di rappresentazione e di punto di vista, per mostrarsi come imparziali, finestre sul mondo, o se preferisci frammenti di realtà.
Le immagini vengono usate come prove, evidenze oggettive. Nel corso della storia, il pubblico che fruisce delle immagini si è progressivamente allenato a dubitare, a scorgere l’opacità del medium. Per questo ora sorridiamo quando vediamo i primi spettatori spostarsi dallo schermo all’arrivo del treno dei fratelli Lumière. Eppure l’industria dell’immagine è sempre riuscita a stare un passo avanti a noi, proponendoci di volta in volta nuove immagini tecniche che si presentavano come immediate e “pure”: così, le fotografie a colori erano più trasparenti di quelle in BN, i video digitali erano più “veri” di quelli iper prodotti di tv e cinema, e così via. Oggi, l’evoluzione è più veloce che mai. Quando le stories o le dirette Instagram ci accompagnano nei salotti dei nostri influencer preferiti, non abbiamo la sensazione di assistere a una messa in scena. Siamo letteralmente proiettati tra i loro animali domestici.

Ho cominciato a lavorare con le reti neurali intorno al 2016, dopo aver visto un video demo di Tero Karras, ricercatore di NVIDIA. Nel video c’erano delle piccole immagini di sedie che sembravano morphare l’una nell’altra. La cosa che mi ha colpito era che quelle immagini erano completamente diverse dai render 3D e dalle CGI a cui ero abituato. Le immagini sintetizzate con l’AI sembravano uscite da una macchina fotografica, anche se nessun obiettivo aveva scattato quelle foto. Quanto pericoloso e affascinante è un dispositivo che rende quasi indistinguibile un’immagine “catturata” da una sintetica? E cosa ci dice delle immagini, di tutte le immagini, di più: di tutti i racconti?

Ecosistemi Artificiali

C – Dal progetto A/V Lorem alle collaborazioni in ambito teatrale (ad esempio la realizzazione dei video per Like Flesh di Sivan Eldar, messo in scena da Silvia Costa); da docente di transmedial arts a creatore di installazioni immersive come Distrust Everything. Nei tuoi lavori emerge sempre l’elemento di ricerca. Cosa ti spinge ad andare sempre oltre?

F – Non saprei, forse un aspetto importante del mio lavoro è proprio l’incontro con altre persone. Negli ultimi anni ho collaborato con artisti (Karol Sudolski), architetti (MAEID), musicisti (Acre, Luca Pagan, De Santis Shabara), teorici e ricercatori (Mirek Hardiker, Andrea Facchetti). Ognuno di questi incontri non solo ha influenzato il mio lavoro, ma ha anche messo in qualche modo in discussione l’intera identità di Lorem. Per come la vedo ora, Lorem è un progetto fluido, che agisce a volte come un individuo (quello che ora sta rispondendo a questa intervista), altre come un collettivo, e che si esprime attraverso i linguaggi che ritiene di volta in volta più opportuni.

C – In Distrust Everything esplori un paesaggio umano che vive relazioni tra il reale e l’onirico nell’era dell’intelligenza artificiale. Raccontaci come nasce e perché.

F – Distrust Everything nasce anzitutto dall’incontro con Mirek Hardiker. Hardiker è un artista e ricercatore americano di origini polacche, che per 21 anni ha costruito un enorme Dream Report Dataset (DRD). Quasi ogni mattina, dal 1973 al 1995, Mirek trascriveva la sua attività onirica ed etichettava personaggi, ricorrenze e collegamenti alla sua vita quotidiana. Io ho conosciuto il suo lavoro nel 2018, grazie a un suo vecchio videogame che ancora è disponibile su Archive.org (https://archive.org/details/hypercard_zaum-gadget). Una volta contattato, mi ha parlato di questo suo progetto (Stella), e abbiamo cominciato ad immaginare una possibile collaborazione. Nel 2020, ho iniziato ad allenare reti neurali generative sui testi dei DRD di Hardiker. Il progetto “Distrust Everything” esplora l’universo narrativo generato da quei DRD. a quel momento, ogni singola iterazione del progetto tenta di materializzare sogni sintetici e personaggi come archetipi del suo “mondo sotterraneo“ sintetico.

Distrust Everything

C – In quanto insegnante, cosa consiglieresti ai ragazzi che oggi hanno deciso di intraprendere un percorso formativo nell’ambito di queste espressioni artistiche, e cosa consiglieresti loro per aiutarli a trovare mezzi e opportunità per esprimere il loro talento.

F – Forse l’unico consiglio che mi sento di dare è quello di rubare, di trafugare il lavoro degli altri e tutto quello che è funzionale al loro discorso. Di copiare, mischiare e appropriarsi di quello che trovano in giro, per trovargli un nuovo posto e un nuovo senso all’interno del proprio racconto.

___________________________________________________________

[English version]

INTERVIEW WITH FRANCESCO D’ABBRACCIO
By Cristina Baù

While digital technologies are quickly incorporating everything that surrounds us, representing the “revolution” of the contemporary and changing of paradigm towards a more efficient and powerful future, we are increasingly needing a philosophical tradition that brings us back down to earth, to the origin of our existence: human nature. By examining the influence that technology had in the field of performance, music and arts, it has been made more human, more poetic and more graspable than we could ever have imagined, also thanks to the process of technological development. We’re asking an expert in the field of visual arts, guest of 8th edition of Seeyousound Festival, about how contradictory the relationship between human beings and machines can be, and at the same time, how the virtual and the real world contaminate each other relentlessly: Francesco D’Abbraccio.

C – As human beings, what can we learn through the interaction with machines? Do you think contradictions may exist in the relationship between man and machine?

F – I think that the relationships we have with machines suffer from the same contradictions that we find in the social contexts in which we live. They transfer voluntarily or not within the technologies we use. Humans (and devices) who extract data and design algorithms perform their tasks with precise (arbitrary) purposes, which are often not clear to the end user. At the same time, they unwittingly reproduce cultural and cognitive biases in the datasets and models they construct. Many today believe that it makes no sense to question ourselves about our relationship with machines without taking into consideration the entire ecosystem of forces that act on the subjects and devices involved.

Lately, however, I am surprised to think that this intrinsic limit of the medium is the aspect that makes it interesting from my point of view. This tendency of AI to bring out, in its outputs, unconscious patterns, prejudices, hidden correlations, becomes a creative (and at the same time voyeuristic) tool that fascinates me a lot. When I train a network based on Primitivo’s drawings, I have the sensation of getting a little inside his head, of unmasking his most automatic gestures. Or, even more evidently, when I train another network on Mirek’s dreams, I can see very intimate aspects in the generated dream reports, or at least imagine that the machine’s errors are ways of “interpolating” his thoughts, of understanding what could be there. in the interstices between one dream and another.

C – What was the driving force that made you approach artificial intelligence as a mean of applying and researching your works and why?

F – One of the themes that always interested me, and that has always been central to Krisis Publishing’s research, is the transparency of media, and of images in particular. Images always had the ability to hide their nature of representation and point of view, to show themselves as impartial, windows of the world, or if you prefer fragments of reality. Images are used as evidence, objective evidence. In history, the audience enjoying images has progressively trained itself to doubt and to perceive the opacity of the medium.
This is why we now smile when we see people fleeing from the screen watching the arrival of Lumière brothers’ train. Yet the image industry has always managed to stay one step ahead of us, offering us new technical images from time to time that were presented as immediate and “pure”: thus, the color photographs were more transparent than those in B&W, the digital videos were more “real” than the hyper-produced ones of TV and cinema, and so on. Today, evolution is faster than ever. When the stories or the direct Instagram accompany us in the living rooms of our favorite influencers, we do not have the feeling of witnessing a staging. We are literally thrown into their pets.

I started working with neural networks around 2016, after watching a demo video by Tero Karras, a researcher at NVIDIA. In the video there were small images of chairs that seemed to morph into each other. The thing that struck me was that those images were completely different from the 3D renders and CGIs I was used to. These images, synthesized with AI, looked like they came out of a camera, even if no lens took those photos. How dangerous and fascinating is a device that makes a “captured” image almost totally indistinguishable from a synthetic one? And what does it tell us about images, about all the images and more: about all the stories?

C – From Lorem A/V project to collaborations in the theatrical field (i.e. the making of the videos for Like Flesh by Sivan Eldar, staged by Silvia Costa); from being teacher of transmedial arts to creator of immersive installations such as Distrust Everything. The research element always emerges in your works. What pushes you to always go further?

F – I don’t know, maybe an important aspect of my work is meeting other people. In recent years I have collaborated with artists (Karol Sudolski), architects (MAEID), musicians (Acre, Luca Pagan, De Santis Shabara), theorists and researchers (Mirek Hardiker, Andrea Facchetti). Each of these encounters not only influenced my work, but also somehow challenged the whole identity of Lorem. As I see it now, Lorem is a fluid project, which acts at times as an individual (the one who is now responding to this interview), at others as a collective, and which expresses itself through the languages ​​it deems most appropriate from time to time. .

C – In Distrust Everything you’re exploring a human landscape that experiences the relationships between the real and the dream in the age of artificial intelligence. Tell us how it was born and why.

F – Distrust Everything was born from the meeting with Mirek Hardiker. Hardiker is an American artist and researcher of Polish descent who has been building a huge Dream Report Dataset (DRD) for 21 years. Almost every morning, from 1973 to 1995, Mirek transcribed his dream activity and labeled characters, anniversaries and connections to his daily life. I got to know his work in 2018, thanks to an old video game of his that is still available on Archive.org (https://archive.org/details/hypercard_zaum-gadget). Once contacted, he told me about his project (Stella), and we began to imagine a possible collaboration. In 2020, I started training generative neural networks on Hardiker’s DRD lyrics. The “Distrust Everything” project explores the narrative universe generated by those DRDs. At that moment, every single iteration of the project attempts to materialize synthetic dreams and characters as archetypes of its synthetic “underworld”.

C – As a teacher, what would you recommend to young people who have decided today to undertake a training course in these artistic expressions, and what would you recommend to help them finding ways and opportunities to express their talent.

F – Perhaps the only advice I can give is to steal: to steal the work of others and everything that is functional to their discourse. To copy, mix and take what they can find around, to set them a new place and a new meaning within their own story.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.