Fabrizio Rat – Dialogo tra Arte e Tecnologia

Fabrizio Rat – La Machina per Genau al Supermarket (2018) – foto credit Bianca Asmara Curti

Intervista a cura di Cristina Baù
[English version below]

Ritmiche raffinate, ipnotiche, scandite dai sintetizzatori e dalle drum machine, e poi ancora scaldate dal suono armonico del pianoforte, che per la durata dell’intera esibizione perde la sua connotazione classica e si restituisce come corpo unico all’ascoltatore in un vortice technofilo incalzante. Fabrizio Rat veste gli abiti del performer per regalarci un’esperienza musicale immersiva e autentica, per il pubblico che la vive ma anche per l’artista che la crea.

Torinese di origine, parigino d’adozione, muove i suoi primi passi nella musica in giovane età, diplomandosi al conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. Ma già a 16 anni lavora in studio come produttore di musica dance. Membro del collettivo Cabaret Contemporain e Magnetic Ensemble, inizia il suo primo progetto solista “La Machina” a gennaio del 2016 con un EP su Optimo Trax, che si trasforma in uno spettacolo dal vivo pochi mesi dopo. In seguito le sue performance hanno fatto il giro del mondo tra festival internazionali e club, consacrandolo come vero e proprio fenomeno nel genere Techno.

Credit Philippe Levy

C – Quando ti esibisci hai la capacità di “dividerti” letteralmente in due parti: con una mano suoni le macchine, con l’altra il piano. Dentro quest’ultimo inserisci materiali come mollette, bicchieri ed altri oggetti trasformando il suono classico e associandolo a quello dei sintetizzatori. Che peso dai alla sperimentazione e qual è il tuo personale processo di ricerca?

F – La sperimentazione è un aspetto centrale del mio fare musica. La pappa pronta non mi è mai piaciuta, ho sempre preferito fabbricare gli ingredienti della mia ricetta musicale, seguendo l’istinto ed i territori dove l’esperienza mi ha condotto.
La sperimentazione tuttavia non è garanzia di niente, non giustifica nulla e non è sufficiente a creare un contenuto di interesse artistico. Diciamo che è un bel gioco, un modo per generare possibilità, per spingersi al di là di quello che si conosce.  Poi però bisogna scegliere, ed è la scelta ad essere secondo me il vero atto creativo, quello che esclude certe possibilità per permettere all’oggetto artistico di esistere.

Oggetti dentro il piano – foto credit Sheila Dernio (2016)

C – Fino a che punto nella musica può spingersi il rapporto tra artista e tecnologia?

F – E’ una relazione molto ambigua, interessante e pericolosa. Tecnologia è il pianoforte, che la sua meccanica riesce a generare un suono ‘trasportando’ l’energia del dito che spinge un tasto all’impatto su una corda. Tecnologia sono anche gli algoritmi che stanno distruggendo la nostra vita sociale, impoverendo la nostra mente, e annientando il concetto di qualità e quello di contenuto nel mondo della musica.
E’ un equilibrio difficile nei tempi che viviamo, si ha l’impressione di camminare sul filo del rasoio, è necessario trovare un modo per utilizzare la tecnologia senza farsene dominare. Produrre musica elettronica è un dialogo costante con la tecnologia. Questo dialogo mi ha stimolato molto, ho cercato nel mio live di imparare dalle macchine ‘classiche’ della techno per riprodurne alcuni aspetti in forma ‘umana’. Ho imparato a suonare pattern come loro ma con la capacità di trasformarli e farli evolvere secondo logiche non automatizzabili ed imprevedibili.

Fabrizio Rat – La Machina live per Genau al Cap10100, Torino (2016)

C – La tua è una formazione classica. Cosa ti ha fatto avvicinare alla Techno?

F – Il mio amico ed immenso musicista Alessandro Arianti, quando eravamo  adolescenti. E’ stata la prima persona ad iniziarmi al  far musica con computer, campionatori e sintetizzatori, ha acceso dentro di me l’interesse per quel mondo. Lui faceva già allora (e fa tuttora) produzioni strepitose e passavamo ore ad ascoltare e fabbricare suoni.
Ho abbandonato la produzione di musica elettronica per qualche anno, per poi riavvicinarmene e scoprire un amore infinito per il suono della techno, per lo stato di trance indotto dalla ripetizione e dalla potenza ipnotica di questa musica.

Credit TimeShift Bologna 2018

C – Il club è quel posto in cui lasci tutte le preoccupazioni alle spalle per immergerti in un’esperienza che favorisce la condivisione con il prossimo e che è in grado di produrre un’identità collettiva. Durante i live come vivi la tua personale connessione con il pubblico?

F – Molto intensamente. Quando suono sono piuttosto impassibile e non guardo quasi mai il pubblico, ma ne percepisco  molto chiaramente l’energia.
Questo influenza direttamente la musica, quindi in un certo senso è come se, con le persone, suonassimo insieme, dato che il loro flusso energetico influenza direttamente la creazione sonora.

Fabrizio Rat – La Machina per Genau al Cap10100 (2016) – foto credit Sheila Dernio

C – Apparentemente timido e introverso, appena ti siedi al piano e inizi a suonare il gioco è fatto. Avviene una trasformazione e agisci come un magnete sull’attenzione del pubblico.
Quali sono le regole, se ne esistono, del performer?

F – Forse una sola per me, la sorpresa, il vivere sul palco una scoperta continua degli elementi musicali, anche da parte dell’artista, e condividere questa sensazione con chi ti sta di fronte e sta scoprendo il tuo linguaggio per la prima volta. Addentrarsi in terreni non conosciuti nel percorso musicale di un live, aprire nuove porte, essere disponibile ad accogliere l’imprevisto ed a trasformare gli errori.

C – “Suonare” in inglese si traduce in “to play”, il cui significato è anche “giocare”.
Da artista quale tu sei che valenza dai al gioco nel contesto delle arti?

F – Altissima, il gioco è un elemento centrale nel mio fare musica. Ogni gioco ha le sue regole e le sue eccezioni e comporre o improvvisare musica è gestire questi parametri in modo da generare possibilità sorprendenti. Sono proprio le regole di un gioco a rendere possibile l’accesso a molte porte che altrimenti rimarrebbero nascoste.

Fabrizio Rat – La Machina per Genau al Cap10100 – foto credit Sheila Dernio

C – Qualche anticipazione sui tuoi nuovi progetti A/V e performativi?

F – Ho preparato un nuovo live audiovisuale in collaborazione con Kaspar Ravel. E’ un live completamente diverso da quello techno, incentrato sul dialogo tra pianoforte e sintetizzatori modulari, nella linea del mio album Shades of Blue.
Ho cercato di sviluppare la componente  ipnotica in modo diverso da quella dei miei live techno cercando nuove direzioni armoniche e sonore, e riducendo gli elementi ritmici. Il live ha una dimensione quasi rituale che mi interessa molto, e si lega fortemente con i video di Kaspar, generati in tempo reale. Lui ha sviluppato un sistema attraverso il quale riesce a trasformare i movimenti delle proprie mani, filmate da una webcam, in colori liquidi che si dissolvono e mischiano sulla superficie di proiezione. Alcuni elementi della drum machine inoltre influiscono sul video controllandone alcuni parametri e creando un legame molto forte che ne rafforza il potenziale ipnotico. Suonando dal vivo  la mia musica cambia anche in funzione di quello che vedo sullo schermo , e quindi gestisco gli elementi musicali con una logica in parte visuale, in modo che la costruzione globale sia unita da un pensiero comune.

Fabrizio Rat – Shades of Blue A/V Live – video by Kaspar Ravel (2020)

[English version]
FABRIZIO RAT – A DIALOGUE BETWEEN ART AND TECHNOLOGY

Interview by Cristina Baù

Refined, hypnotic rhythms, marked by synthesizers and drum machines, and then again heated by the harmonic sound of the piano, which for the duration of the entire performance loses its classical connotation and is returned as a single body to the listener in a pressing technophile vortex. Fabrizio Rat dresses the performer’s clothes to give us an immersive and authentic musical experience, for the audience who lives it but also for the artist who creates it.

Born in Turin, Parisian by adoption, he took his first steps in music at a young age, graduating from the Giuseppe Verdi Conservatory in Turin. But already at 16 he works in the studio as a dance music producer. Member of the collective Cabaret Contemporain and Magnetic Ensemble, he starts his first solo project “La Machina” in January 2016 with an EP on Optimo Trax, which turns into a live show after few months. Later his performances went around the world between international festivals and clubs, consecrating him as a real phenomenon in the Techno genre.

C- When you perform, you have the ability to literally “divide” yourself into two parts: with one hand you play the machines, with the other the piano. Inside the latter you insert materials such as clothespins, glasses and other objects, transforming the classic sound and associating it with that of synthesizers. What weight do you give to experimentation and what is your personal research process?

F – Experimentation is a central aspect of my making music. I have never liked ready-made baby food, I have always preferred to make the ingredients of my musical recipe, following instinct and the territories where the experience has led me.
However, experimentation is not a guarantee of anything, it does not justify anything and it is not sufficient to create a content of artistic interest. Let’s say it’s a good game, a way to generate possibilities, to go beyond what you know. But then you have to choose, and in my opinion it is the choice that is the true creative act, the one that excludes certain possibilities to allow the artistic object to exist.

C – How far in music the relationship between artist and technology can go?

F – It is a very ambiguous, interesting and dangerous relationship. Technology is the piano, whose mechanics are able to generate a sound by ‘transporting’ the energy of the finger that pushes a key upon impact on a string. Technology are also the algorithms that are destroying our social life, impoverishing our mind, and annihilating the concept of quality and content in the world of music.
It’s a difficult balance in the times we live in, one has the impression of walking on a tightrope, it’s necessary to find a way to use technology without being dominated by it.
Producing electronic music is a constant dialogue with technology. This dialogue stimulated me a lot, I tried in my live to learn from the ‘classic’ techno machines to reproduce some aspects in ‘human’ form. I learned to play patterns like them but with the ability to transform and make them evolve according to non-automatable and unpredictable logics.

C- Yours is a classic training. What made you approach Techno?

F – My friend and immense musician Alessandro Arianti, when we were teenagers. He was the first person to initiate me into making music with computers, samplers and synthesizers, he sparked an interest in that world within me. He was already making (and still does) amazing productions and we spent hours listening and making sounds.
I abandoned the production of electronic music for a few years, only to get closer to it and discover an infinite love for the sound of techno, for the state of trance induced by the repetition and the hypnotic power of this music.

C – The club is that place where you leave all worries behind to immerse yourself in an experience that favors sharing with others and that is able to produce a collective identity. How do you experience your personal connection with the public during live shows?

F – Very intensely. When I play I am quite impassive and I hardly ever look at the audience, but I perceive their energy very clearly.
This directly affects the music, so in a sense it is as if, with people, we play together, as their energy flow directly affects the sound creation.

C – Seemingly shy and introverted, as soon as you sit down at the piano and start playing the game is done. A transformation takes place and you act like a magnet on the attention of the public.
What are the rules, if there are, of the performer?

F – Perhaps only one for me, the surprise, experiencing a continuous discovery of musical elements on stage, even by the artist, and sharing this feeling with those who are in front of you and are discovering your language for the first time. Entering unknown lands in the musical journey of a live, opening new doors, being available to welcome the unexpected and transform mistakes.

C – “To play” (in Italian “suonare”) means both “to play” an instrument or “to play” a game.
As an artist which are you, what value do you give to play in the context of the arts?

F – Very high, the game is a central element in my making music. Each game has its rules and exceptions and composing or improvising music is managing these parameters in order to generate surprising possibilities. It is precisely the rules of a game that make it possible to access many doors that would otherwise remain hidden.

C – Any anticipation on your new A / V and performative projects?

F – I have prepared a new audiovisual live in collaboration with Kaspar Ravel. It is a completely different live from the techno one, focused on the dialogue between piano and modular synthesizers, in the line of my album Shades of Blue.
I tried to develop the hypnotic component in a different way from that of my live techno, looking for new harmonic and sonic directions, and reducing the rhythmic elements. The live has an almost ritual dimension that interests me a lot, and is strongly linked with Kaspar’s videos, generated in real time. He has developed a system through which he is able to transform the movements of his hands, filmed by a webcam, into liquid colors that dissolve and mix on the projection surface. Some elements of the drum machine also affect the video by controlling some parameters and creating a very strong bond that strengthens its hypnotic potential. Playing live my music also changes according to what I see on the screen, and therefore I manage the musical elements with a partly visual logic, so that the global construction is united by a common thought.

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